\paperw9000 \margr0\margl0 \plain \fs20 \f1 \fs24 La morte di Federico II aveva disgregato in Italia il partito ghibellino. Soltanto Ezzelino da Romano e Oberto Pelavicino, agend
o per≥ ciascuno secondo una propria direttiva, resistevano ancora al partito guelfo, il quale trionfava nellÆItalia centrale e specialmente a Firenze, divenuta, da questo momento, la roccaforte del guelfismo. Il papato si affrettava a raccogliere i frutt
i della vittoria nellÆItalia meridionale, tentando di assumere la piena e diretta sovranitα sul regno svevo. Ben presto, per≥, i suoi piani venivano intralciati da Manfredi, il quale riprendeva saldamente nelle sue mani il governo della Sicilia, col tito
lo di re, e tornava a quel programma di intervento politico in tutta lÆItalia che era giα stato perseguito dal padre Federico II. Il partito ghibellino si risollevava cos∞ in tutto il paese, rapidamente, e riconquistava la cittα di Firenze (battaglia di
Montaperti, 1260). Gli appelli ripetutamente lanciati dal pontefice, minacciato da quellÆaccerchiamento territoriale, a principi stranieri perchΘ intervenissero in Italia furono accolti da Carlo dÆAngi≥, fratello del re di Francia Luigi IX. Egli, che giα
controllava nel Piemonte vasti territori e aveva partigiani in Lombardia, fornito ora di cospicui mezzi finanziari e militari dalle forze guelfe, potΘ spingersi, senza incontrare resistenza, fin nella Campania e, sul campo di Benevento (1266), metter fi
ne alla potenza sveva in Italia. Ma Carlo dÆAngi≥, oltre al regno di Sicilia, di cui assumeva la corona, prendeva sotto la sua protezione, alla testa del partito guelfo, tutta lÆItalia con il titolo di vicario. Si rinnovava in tal modo il pericolo di acc
erchiamento per il pontefice, che allora, contro Carlo dÆAngi≥, favor∞ lÆinsediamento di Rodolfo dÆAsburgo sul trono imperiale. Tuttavia la potenza di Carlo dÆAngi≥ si faceva valere in tutta la penisola: pretendeva la carica di senatore di Roma e, per le
esigenze della sua politica italiana, trasferiva la capitale del regno di Sicilia da Palermo a Napoli. La sua ambizione andava anche verso Costantinopoli, dove, dÆaccordo con i Veneziani, intendeva ricostruire lÆImpero latino dÆOriente che i Genovesi, n
el 1261, avevano concorso ad abbattere. Ma le forze di cui disponeva non erano pari alle ambizioni. Giα nel Piemonte egli aveva dovuto cedere terreno di fronte a una coalizione promossa da Asti.\par
Nel Mezzogiorno, poi, la sua autoritα si andava indebo
lendo per lÆincapacitα da lui dimostrata di contenere entro i quadri dello stato le forze feudali che rialzavano la testa. La popolazione soffriva della prepotenza e aviditα dei nuovi signori importati dalla Francia, dellÆoppressivo sistema fiscale impos
to per alimentare lÆesecuzione dei vasti piani regali. Il malcontento in Sicilia si era acuito per il trasferimento della capitale, che, oltre a rappresentare una diminuzione di prestigio per la nobiltα isolana, significava anche un sicuro danno economic
o per tutta la popolazione. DÆaltra parte Pietro III dÆAragona, avendo sposato una figlia di Manfredi, rivendicava a sΘ il regno di Sicilia (ma lÆespansione nel Mediterraneo era politica aragonese, giα iniziata nel 1228 con la conquista delle Baleari) e
molti erano gli esuli della nobiltα svevo-normanna che si rifugiavano alla corte aragonese.\par
Nel 1282 questo diffuso e generale malcontento esplose improvvisamente nella rivoluzione dei Vespri, che ben presto si complic≥ con lÆintervento degli Aragon
esi, sollecitati dal popolo e dalla nobiltα siciliana. La lunga e rovinosa guerra che ne segu∞ spezz≥ in due tronconi lÆantico regno di Sicilia. La pace di Caltabellotta (1302) sanzionava questa divisione: la Sicilia restava agli Aragonesi e il Napoletan
o agli Angioini.\par
La frattura tra la parte continentale e quella isolana del regno di Sicilia Φ stata considerata per molto tempo come un evento gravido di funeste conseguenze per la storia del Mezzogiorno, poichΘ avrebbe interrotto un processo di in
tegrazione e di sviluppo unitario nellÆItalia meridionale, soprattutto dal punto di vista politico. Tesi sulla quale oggi si discute per pi∙ di un motivo. Intanto Φ difficile ammettere che, con la sperimentazione monarchica normanno-sveva, si fosse raggi
unta una unitα etico-politica, al di lα delle intenzioni e dei disegni che potrebbero essere anche visti tesi a quello scopo; in secondo luogo la stessa ômodernitαö della costruzione politico-amministrativa dello stato normanno e anche di quello federici
ano si Φ rivelata largamente tributaria di sistemi giα presenti nel Mezzogiorno nelle istituzioni bizantine e arabe, che avrebbero comunque operato; inoltre il mito di Federico II ha subito ridimensionamenti o addirittura negazioni in fatto di aperture v
erso lÆattuazione di nuove forme di convivenza tra diverse etnie che popolavano, a metα del secolo 13░, il regno di Sicilia. AnzichΘ rappresentare un momento di innovazione nei rapporti tra Ebrei, Cristiani e Musulmani, Federico II avrebbe segnato lÆiniz
io di un progressivo sganciamento della Sicilia dal mondo islamico. Una valutazione pi∙ equilibrata non pu≥ non riconoscere, al di fuori di mitizzazioni, che lo Svevo ebbe il merito di avviare, da un lato, lo sviluppo agricolo del Mezzogiorno, con la con
centrazione in masserie di stato della frammentazione poderale di \i curtes\i0 preesistenti e, dallÆaltro, il commercio con una politica di disponibilitα verso lÆintraprendenza dei mercanti genovesi, toscani e veneziani. Semmai non la rottura della guer
ra del Vespro, ma lÆingresso angioino nellÆItalia meridionale provoc≥ lÆinterruzione di un processo avviato prima di quellÆevento. La crisi di quel processo, dÆaltro canto, fu crisi di equilibri che si erano andati profilando nel Mediterraneo, per disegn
i di egemonia angioina e di espansione aragonese, in un quadro ben pi∙ largo di quello dellÆItalia meridionale.\par
Intanto, col tramonto degli Svevi, si era risolto a favore di Genova il lungo duello di questa repubblica marinara con la repubblica riva
le di Pisa. Questa, una delle ultime roccaforti del ghibellinismo, non si risollev≥ pi∙ dalla sconfitta della Meloria (1294), che ebbe per conseguenza la perdita anche dei possessi in Sardegna; ma lÆisola doveva ben presto passare agli Aragonesi, per inv
estitura di Bonifacio VIII e poi di Clemente V. Pisa si trov≥ invece sotto la minaccia della guelfa Firenze, che con successo si andava espandendo lungo la vallata dellÆArno, verso il mare. AllÆombra della bandiera guelfa vittoriosa si ponevano sempre pa
rticolari interessi, prevalentemente economici, come quelli che conducevano i mercanti genovesi e fiorentini nelle province del regno di Napoli. Una fitta rete di relazioni commerciali collegava ormai tutte le province italiane, ma erano appunto le cause
economiche, rivalitα commerciali e concorrenza su determinati mercati, che determinavano contrasti e guerre tra le maggiori cittα. Genova e Venezia si combattevano implacabilmente su tutti i mari, perchΘ lÆuna voleva escludere lÆaltra dai porti oriental
i; la guerra di Chioggia (1378-81) non Φ che lÆepisodio pi∙ famoso di una secolare contesa. Per analoghe ragioni, Firenze, che si avviava allÆunificazione e al dominio di tutta la Toscana, combattΘ fieramente Pisa e Siena, finchΘ le pieg≥ al suo dominio
e alla sua influenza, come giα aveva fatto con Arezzo e Pistoia.\par
Lo slancio della nuova economia spinse ben presto oltre i confini italiani mercanti e banchieri lucchesi, genovesi, veneziani, senesi, in una parola ôlombardiö, come venivano designati
dagli stranieri: essi erano presenti in ogni terra dellÆEuropa, favoriti, anche, in questa espansione, dagli interessi finanziari della curia di Roma in tutta la cristianitα. E tra queste esperienze e contatti con paesi e genti diverse, si viene formand
o una nuova cultura, mondana e raffinata, tutta rivolta alla ricchezza e alla potenza. Cultura fatta, soprattutto, di diritto e di commercio, di esperienza degli uomini e di pratica utilitα.\par
LÆItalia andava svolgendo fino in fondo le sue esperienze